Le foibe sono, è vero, dei “solchi” nel terreno, appunto, delle voragini di roccia a forma di imbuto rovesciato profonde fino a 200 metri, risultato dell’erosione dovuta allo scorrere dei fiumi e dei torrenti, tanto numerosi nella regioni del nord-est della nostra penisola. E le foibe, nulla più di questo rimasero sino al 1943, data in cui, in seguito all’armistizio dell’8 settembre, esse iniziarono ad essere usate per assassinare, gettandoveli dentro, il maggior numero possibile di persone, ree di morte per essersi macchiate del terribile crimine di essere fascisti!
Fino al 1946, le bande di partigiani titini, assai spesso sostenute ed aiutate dalla formazioni partigiane italiane, continuarono a punire in questa maniera le loro vittime, dapprima limitandosi al territorio istriano, per poi passare, fiere del loro operato, all’intera regione di Trieste e della Venezia Giulia. Convinti che una semplice eliminazione fisica non fosse sufficiente per chi si era macchiato della disdicevole infamia di essere fascista (o anche solo italiano!), queste bande si prodigavano in modo da umiliare quanto più possibile le loro vittime, prima di ucciderle gettandole nelle foibe. È così, per questo spietato desiderio di oltraggiare coloro che il loro giudizio non considerava degni nemmeno d’esser uomini, che presero il via alcune delle più abominevoli pratiche di tortura che il nostro Paese abbia conosciuto. Di frequente le vittime, prima d’essere ammazzate, venivano fatte oggetto di una spasmodica caccia all’uomo e, una volta trovate, strappate alle loro famiglie, accecate, mutilate, evirati gli uomini, stuprate le donne, torturate, oltraggiate, tormentate e seviziate! Dopo questi supplizi i più erano fucilati e “infoibati”, ma non mancavano casi in cui essi erano legati col filo spinato insieme ad un cadavere, di uno sconosciuto o di un loro familiare che fosse, e gettati ancora vivi nei crepacci, a perire, nel migliore dei casi, per l’impatto della caduta, oppure a soffrire una lenta morte di fame e di stenti.
Aprendo il libro di scuola su cui avete studiato non troverete nulla su questo argomento. Esso è stato per decenni oscurato alla memoria degli italiani, perché vergognoso e sconvolgente aspetto di quella tanto idealizzata resistenza trionfalmente osannata dalla “cultura” italiana del dopoguerra. Per tanti anni il mondo è stato volutamente tenuto all’oscuro di questi eventi, così come si è fatto di tutto per insabbiare la memoria delle migliaia di persone che furono deportate nei campi di concentramento di numerose località della Jugoslavia. In sessant’anni pochi temerari hanno osato riportare alla luce le testimonianze raccolte su questi fatti. A decenni dai loro barbari assassini, un numero enorme, che mai sarà conosciuto, di vittime militari e civili, uomini, donne e bambini italiani, aspetta ancora la giustizia che gli è stata negata.
Non basta istituire una giornata della memoria, bisogna imparare dalla storia!
MAI PIÙ VIOLENZA! MAI PIÙ ANTIFASCISMO!
Antonio Giulianelli
Fino al 1946, le bande di partigiani titini, assai spesso sostenute ed aiutate dalla formazioni partigiane italiane, continuarono a punire in questa maniera le loro vittime, dapprima limitandosi al territorio istriano, per poi passare, fiere del loro operato, all’intera regione di Trieste e della Venezia Giulia. Convinti che una semplice eliminazione fisica non fosse sufficiente per chi si era macchiato della disdicevole infamia di essere fascista (o anche solo italiano!), queste bande si prodigavano in modo da umiliare quanto più possibile le loro vittime, prima di ucciderle gettandole nelle foibe. È così, per questo spietato desiderio di oltraggiare coloro che il loro giudizio non considerava degni nemmeno d’esser uomini, che presero il via alcune delle più abominevoli pratiche di tortura che il nostro Paese abbia conosciuto. Di frequente le vittime, prima d’essere ammazzate, venivano fatte oggetto di una spasmodica caccia all’uomo e, una volta trovate, strappate alle loro famiglie, accecate, mutilate, evirati gli uomini, stuprate le donne, torturate, oltraggiate, tormentate e seviziate! Dopo questi supplizi i più erano fucilati e “infoibati”, ma non mancavano casi in cui essi erano legati col filo spinato insieme ad un cadavere, di uno sconosciuto o di un loro familiare che fosse, e gettati ancora vivi nei crepacci, a perire, nel migliore dei casi, per l’impatto della caduta, oppure a soffrire una lenta morte di fame e di stenti.
Aprendo il libro di scuola su cui avete studiato non troverete nulla su questo argomento. Esso è stato per decenni oscurato alla memoria degli italiani, perché vergognoso e sconvolgente aspetto di quella tanto idealizzata resistenza trionfalmente osannata dalla “cultura” italiana del dopoguerra. Per tanti anni il mondo è stato volutamente tenuto all’oscuro di questi eventi, così come si è fatto di tutto per insabbiare la memoria delle migliaia di persone che furono deportate nei campi di concentramento di numerose località della Jugoslavia. In sessant’anni pochi temerari hanno osato riportare alla luce le testimonianze raccolte su questi fatti. A decenni dai loro barbari assassini, un numero enorme, che mai sarà conosciuto, di vittime militari e civili, uomini, donne e bambini italiani, aspetta ancora la giustizia che gli è stata negata.
Non basta istituire una giornata della memoria, bisogna imparare dalla storia!
MAI PIÙ VIOLENZA! MAI PIÙ ANTIFASCISMO!
Antonio Giulianelli